Carteggio Castaldo-Severgnini
Carteggio Castaldo-Severgnini
23 Settembre 2010
Da un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” del 23 settembre 2010 dal giornalista Beppe Severgnini alla risposta inviata dal prof. Andrea R. Castaldo.
Beppe Severgnini, giornalista e scrittore italiano, classe '56, pubblica un articolo sul "Corriere della Sera" del 23/settembre/2010 intitolato: "Ragazzi, un consiglio: non fate l'avvocato"
L'articolo apre con un riepilogo sui numeri che raccontano in breve la condizione dei giovani avvocati in Italia: "L'avrete saputo: a Milano ci sono 20mila avvocati, la metà di tutta la Francia. In Italia sono 230mila, e aumentano ogni anno di 15mila".
Continua con la storia comune di una giovane laureata in giurisprudenza: "Magari avete visto anche la lettera al "Corriere" di una giovane avvocata (anonima e pentita): a 27 anni prende 500 euro al mese, e ammette di essere fortunata. Almeno la pagano, e non la piazzano a fare fotocopie & caffè, come tanti colleghi coetanei".
Il resto dell'articolo è concentrato sulla magra retribuzione e sulla scarsa formazione troppo spesso "concessa" ai giovani praticanti dagli affermati avvocati italiani...
leggi l'articolo completo
Andrea R. Castaldo, avvocato e docente universitario, quindi formatore dei "futuri avvocati", scrive a Beppe Severgnini per mostrare un punto di vista diverso.
Quello del docente che riconosce con rammarico come "la preparazione media dei ragazzi sia oggi terribilmente mediocre", spesso a causa di una formazione universitaria che fornisce loro "un approccio operativo astratto e del tutto carente"; ma anche quello del titolare di uno studio legale, e quindi di un imprenditore "che fa i conti con costi e ricavi".
Scarica la risposta completa alla fine dell'articolo
Il carteggio si chiude con una risposta di Beppe Savergnini che scrive:
Caro Avvocato Castaldo,
grazie della lettera, ben scritta e ben argomentata.
Lei però descrivere la situazione ideale: l'esperto professionista insegna, il giovane praticante impara. In realtà molti giovani laureati sono abbandonati a se stessi: senza insegnamenti, senza soldi, senza prospettive. Semplice mano d'opera gratuita, con compiti che vanno dalle fotocopie a inderminabili letture per "due diligence".
In molti casi la condizione non cambia neppure dopo l'esame. A Milano come a Napoli (dove ho diversi amici avvocati, e le umiliazioni continuano nel Palazzo di Giustizia senza ascensori - o li hanno sistemati?)
Ripeto: i ragazzi non vanno fatti lavorare gratis, secondo me. Non è educativo e non è - perdoni la parolaccia - morale.
Un cordiale saluto, e grazie di avermi scritto.
Bsev
L'articolo apre con un riepilogo sui numeri che raccontano in breve la condizione dei giovani avvocati in Italia: "L'avrete saputo: a Milano ci sono 20mila avvocati, la metà di tutta la Francia. In Italia sono 230mila, e aumentano ogni anno di 15mila".
Continua con la storia comune di una giovane laureata in giurisprudenza: "Magari avete visto anche la lettera al "Corriere" di una giovane avvocata (anonima e pentita): a 27 anni prende 500 euro al mese, e ammette di essere fortunata. Almeno la pagano, e non la piazzano a fare fotocopie & caffè, come tanti colleghi coetanei".
Il resto dell'articolo è concentrato sulla magra retribuzione e sulla scarsa formazione troppo spesso "concessa" ai giovani praticanti dagli affermati avvocati italiani...
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Andrea R. Castaldo, avvocato e docente universitario, quindi formatore dei "futuri avvocati", scrive a Beppe Severgnini per mostrare un punto di vista diverso.
Quello del docente che riconosce con rammarico come "la preparazione media dei ragazzi sia oggi terribilmente mediocre", spesso a causa di una formazione universitaria che fornisce loro "un approccio operativo astratto e del tutto carente"; ma anche quello del titolare di uno studio legale, e quindi di un imprenditore "che fa i conti con costi e ricavi".
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Il carteggio si chiude con una risposta di Beppe Savergnini che scrive:
Caro Avvocato Castaldo,
grazie della lettera, ben scritta e ben argomentata.
Lei però descrivere la situazione ideale: l'esperto professionista insegna, il giovane praticante impara. In realtà molti giovani laureati sono abbandonati a se stessi: senza insegnamenti, senza soldi, senza prospettive. Semplice mano d'opera gratuita, con compiti che vanno dalle fotocopie a inderminabili letture per "due diligence".
In molti casi la condizione non cambia neppure dopo l'esame. A Milano come a Napoli (dove ho diversi amici avvocati, e le umiliazioni continuano nel Palazzo di Giustizia senza ascensori - o li hanno sistemati?)
Ripeto: i ragazzi non vanno fatti lavorare gratis, secondo me. Non è educativo e non è - perdoni la parolaccia - morale.
Un cordiale saluto, e grazie di avermi scritto.
Bsev