Coronavirus: le disposizioni dell’art. 4 del DL n. 19/2020 tra uniformità e semplificazione
Coronavirus: le disposizioni dell’art. 4 del DL n. 19/2020 tra uniformità e semplificazione
30 Marzo 2020
Articolo di approfondimento sul tema, scritto dal Prof. Andrea R. Castaldo e pubblicato su Il Quotidiano Giuridico.
Le numerose disposizioni contenute nel Decreto legge n. 19/2020 “Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19”, approvate e pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 25 marzo 2020, in vigore dal giorno dopo, ruotano intorno a due assi, le cui parole chiave si riassumono, con l’inevitabile approssimazione di ogni lavoro di sintesi, in: uniformità e semplificazione. Peraltro, ciascuno di essi mira a correggere alcune criticità messe in risalto dalla prassi applicativa, legate alla comprensibile emergenza e urgenza del periodo che stiamo vivendo.
Decreto legge 25 marzo 2020, n. 19 — G.U. 25 marzo 2020, n. 79
Il primo (uniformità): riservare, quale regola generale, unicamente al Governo centrale, quindi su scala nazionale la normazione atta a fronteggiare il contagio da COVID-19 e solo in via eccezionale concederla al Ministro della salute (cfr. art. 2, D. L. n. 19/2020) e alle Regioni (cfr. art. 3, D. L. n. 19/2020), in quest’ultimo caso con il duplice, contemporaneo limite di carattere transitorio (“Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri”) e contenutistico (“specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso”). Ciò per evitare disomogeneità nella emanazione delle “misure di contenimento”, con l’inevitabile disallineamento sanzionatorio in caso di trasgressione su base territoriale, così assicurando anche una migliore intelligibilità per i destinatari.
Il secondo (semplificazione): la previsione espressa di un illecito amministrativo, il cui nocciolo duro è imperniato sulla inosservanza da parte del singolo delle “misure di contenimento” con relativa sanzione pecuniaria ed esplicita rinuncia all’intervento penale, fatti salvi casi eccezionali (cfr. infra). Anche qui nell’intento di fornire un’indicazione chiara sulle violazioni commesse e per prevenire, in forza del principio di retroattività, l’ingolfamento dei Tribunali a causa dell’incredibile e intollerabile numero di procedimenti penali per il reato punito “ai sensi” dell’art. 650 c.p.
Il presente contributo si concentra esclusivamente sull’illecito amministrativo, su quello penale e sul regime intertemporale.
L’art. 4, comma 1, D. L. n. 19/2020 introduce un illecito amministrativo ‘punitivo’ per “il mancato rispetto delle misure di contenimento” (il cui elenco si rinviene nello stesso testo), con sanzione da 400 a 3000 euro, oltre alla eventuale chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni. Le sanzioni sono aumentate per coloro che reiterino le violazioni (il che appare tuttavia di difficile accertamento nell’immediatezza della contestazione) o nell’ipotesi di “utilizzo di un veicolo”.
In astratto, la scelta di spostare sul binario amministrativo la censurabilità delle trasgressioni risulta coerente e maggiormente dissuasiva per la speditezza dell’iter di accertamento e irrogazione della sanzione a confronto con il pregresso sistema.
Eppure, gli aspetti positivi terminano qui.
La norma si apre, infatti, con la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato”, facendo quindi intendere che la sanzione amministrativa abdicherà in favore di quella penale laddove ne ricorrano i presupposti. Eventualità invero remota grazie all’espressa esclusione delle “sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 c.p. o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all'articolo 3, comma 3” e dalla criminalizzazione all’art. 4, comma 6, D. L. n. 19/2020 della violazione dell’obbligo di quarantena per le persone risultate positive al virus, sicché il perimetro residuale è estremamente limitato. Al di là dell’ultima ipotesi, la violazione delle “misure di contenimento” acquisterà rilevanza penale solo qualora si aggiunga quale quid pluris un evento eziologicamente riconducibile alla trasgressione, tale da assorbire l’offensività insita nella condotta di base. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle lesioni personali o all’evento-morte cagionati dalla diffusione del virus da parte di colui che violi le cautele imposte non sapendo di essere positivo al COVID-19. Diverso, invece, il caso di chi sa di essere positivo al virus e violi la quarantena, il quale, come vedremo, sarà chiamato a rispondere del nuovo reato contravvenzionale introdotto dal Decreto legge o dei più gravi reati di lesioni o omicidio volontario.
Infine, non sembra possa invocarsi il richiamo ai reati di falsa autocertificazione o false dichiarazioni al pubblico ufficiale, trattandosi di fattispecie le cui condotte pretendono, colorandone i contorni di offensività, la dolosa alterazione delle giustificazioni del proprio spostamento.
L’art. 4, comma 8, D. L. n. 19/2020 disciplina il regime intertemporale, permettendo di applicare retroattivamente le sanzioni amministrative, seppur in misura ridotta pari a 200 euro. La scelta di equiparare, in tal modo, il carico sanzionatorio dell’illecito amministrativo ‘punitivo’ con quello della precedente contravvenzione di cui all’art. 3, comma 4, D. L. n. 6/2020 si deve alla volontà di mettere al riparo il Decreto legge dalle censure di incostituzionalità per applicazione retroattiva di un più grave trattamento sanzionatorio.
Quale effetto pratico, i procedimenti penali incardinati presso le rispettive Procure della Repubblica ai sensi dell’art. 3, comma 4, D. L. n. 6/2020 dovranno essere archiviati e i relativi atti trasmessi alla Prefetture competenti per l’irrogazione delle sanzioni amministrative.
L’art. 4, comma 6, D. L. n. 19/2020 introduce il reato di violazione della quarantena obbligatoria per le persone positive al virus, punito ai sensi “dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie”, il quale dispone “Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo è punito con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da lire duecento a quattromila”. L’art. 4, comma 7, D. L. n. 19/2020 inasprisce però il trattamento sanzionatorio previsto per il reato di cui all’art. 260 R. D. n. 1265/1934, statuendo “l'arresto da 3 mesi a 18 mesi e l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000”.
L’escalation punitiva per condotte connotate da un accentuato grado di pericolosità è sicuramente apprezzabile. Ciononostante, la tecnica redazionale si espone a numerose critiche.
In primis, anziché costruire un reato contravvenzionale caratterizzato, secondo gli insegnamenti classici, da precetto e sanzione, l’art. 4, comma 6 D. L. n. 19/2020 effettua un ‘curioso’ rimando quod poenam all’art. 260, R. D. n. 1265/1934, salvo poi modificarne la cornice edittale nel comma successivo. Sarebbe stato molto più semplice e di immediata intelligibilità la creazione di una fattispecie dal seguente tenore: “Salvo che il fatto costituisca violazione dell'articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, chiunque violi il divieto assoluto di allontanamento dalla propria abitazione o dimora per le persone fisiche sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus è punito con l'arresto da 3 mesi a 18 mesi e l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000”. Magari, in sede di conversione del Decreto legge, si potrebbe pensare a tale correzione.
Inoltre, la clausola di riserva sembrerebbe confinata ad ipotesi estreme di spread-virus, ovvero quando alla consapevole violazione della quarantena segua l’evento tipico delle lesioni o dell’omicidio volontario, anche a titolo di dolo eventuale, o ancora nei casi in cui nella condotta del singolo che innesti la catena di contagio si rinvenga la peculiare nota modale prevista per i reati di epidemia dolosa e colposa (artt. 438 e 452 c.p.) data dall’inciso “mediante la diffusione di germi patogeni”, sulla cui riconducibilità al caso di specie si mantengono forti riserve.
In conclusione, è da apprezzare la volontà di riportare a sistema il non semplice rebus sanzionatorio che si stava alimentando nel susseguirsi di provvedimenti statali, regionali e comunali in materia. È inoltre da salutare con favore la scelta di ritagliare all’area penale uno spazio residuale, in un modello di semplificazione a gravità crescente.
Complessivamente, l’intervento normativo risponde ad una drammatica emergenza in atto, dove le compressioni dei diritti fondamentali della persona e il circuito sanzionatorio alimentato dalla trasgressione delle “misure di contenimento” rispondono ad esigenze altrettanto fondamentali di tutela della saluta e della vita.
Decreto legge 25 marzo 2020, n. 19 — G.U. 25 marzo 2020, n. 79
Il primo (uniformità): riservare, quale regola generale, unicamente al Governo centrale, quindi su scala nazionale la normazione atta a fronteggiare il contagio da COVID-19 e solo in via eccezionale concederla al Ministro della salute (cfr. art. 2, D. L. n. 19/2020) e alle Regioni (cfr. art. 3, D. L. n. 19/2020), in quest’ultimo caso con il duplice, contemporaneo limite di carattere transitorio (“Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri”) e contenutistico (“specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso”). Ciò per evitare disomogeneità nella emanazione delle “misure di contenimento”, con l’inevitabile disallineamento sanzionatorio in caso di trasgressione su base territoriale, così assicurando anche una migliore intelligibilità per i destinatari.
Il secondo (semplificazione): la previsione espressa di un illecito amministrativo, il cui nocciolo duro è imperniato sulla inosservanza da parte del singolo delle “misure di contenimento” con relativa sanzione pecuniaria ed esplicita rinuncia all’intervento penale, fatti salvi casi eccezionali (cfr. infra). Anche qui nell’intento di fornire un’indicazione chiara sulle violazioni commesse e per prevenire, in forza del principio di retroattività, l’ingolfamento dei Tribunali a causa dell’incredibile e intollerabile numero di procedimenti penali per il reato punito “ai sensi” dell’art. 650 c.p.
Il presente contributo si concentra esclusivamente sull’illecito amministrativo, su quello penale e sul regime intertemporale.
L’art. 4, comma 1, D. L. n. 19/2020 introduce un illecito amministrativo ‘punitivo’ per “il mancato rispetto delle misure di contenimento” (il cui elenco si rinviene nello stesso testo), con sanzione da 400 a 3000 euro, oltre alla eventuale chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni. Le sanzioni sono aumentate per coloro che reiterino le violazioni (il che appare tuttavia di difficile accertamento nell’immediatezza della contestazione) o nell’ipotesi di “utilizzo di un veicolo”.
In astratto, la scelta di spostare sul binario amministrativo la censurabilità delle trasgressioni risulta coerente e maggiormente dissuasiva per la speditezza dell’iter di accertamento e irrogazione della sanzione a confronto con il pregresso sistema.
Eppure, gli aspetti positivi terminano qui.
La norma si apre, infatti, con la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato”, facendo quindi intendere che la sanzione amministrativa abdicherà in favore di quella penale laddove ne ricorrano i presupposti. Eventualità invero remota grazie all’espressa esclusione delle “sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 c.p. o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all'articolo 3, comma 3” e dalla criminalizzazione all’art. 4, comma 6, D. L. n. 19/2020 della violazione dell’obbligo di quarantena per le persone risultate positive al virus, sicché il perimetro residuale è estremamente limitato. Al di là dell’ultima ipotesi, la violazione delle “misure di contenimento” acquisterà rilevanza penale solo qualora si aggiunga quale quid pluris un evento eziologicamente riconducibile alla trasgressione, tale da assorbire l’offensività insita nella condotta di base. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle lesioni personali o all’evento-morte cagionati dalla diffusione del virus da parte di colui che violi le cautele imposte non sapendo di essere positivo al COVID-19. Diverso, invece, il caso di chi sa di essere positivo al virus e violi la quarantena, il quale, come vedremo, sarà chiamato a rispondere del nuovo reato contravvenzionale introdotto dal Decreto legge o dei più gravi reati di lesioni o omicidio volontario.
Infine, non sembra possa invocarsi il richiamo ai reati di falsa autocertificazione o false dichiarazioni al pubblico ufficiale, trattandosi di fattispecie le cui condotte pretendono, colorandone i contorni di offensività, la dolosa alterazione delle giustificazioni del proprio spostamento.
L’art. 4, comma 8, D. L. n. 19/2020 disciplina il regime intertemporale, permettendo di applicare retroattivamente le sanzioni amministrative, seppur in misura ridotta pari a 200 euro. La scelta di equiparare, in tal modo, il carico sanzionatorio dell’illecito amministrativo ‘punitivo’ con quello della precedente contravvenzione di cui all’art. 3, comma 4, D. L. n. 6/2020 si deve alla volontà di mettere al riparo il Decreto legge dalle censure di incostituzionalità per applicazione retroattiva di un più grave trattamento sanzionatorio.
Quale effetto pratico, i procedimenti penali incardinati presso le rispettive Procure della Repubblica ai sensi dell’art. 3, comma 4, D. L. n. 6/2020 dovranno essere archiviati e i relativi atti trasmessi alla Prefetture competenti per l’irrogazione delle sanzioni amministrative.
L’art. 4, comma 6, D. L. n. 19/2020 introduce il reato di violazione della quarantena obbligatoria per le persone positive al virus, punito ai sensi “dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie”, il quale dispone “Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo è punito con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da lire duecento a quattromila”. L’art. 4, comma 7, D. L. n. 19/2020 inasprisce però il trattamento sanzionatorio previsto per il reato di cui all’art. 260 R. D. n. 1265/1934, statuendo “l'arresto da 3 mesi a 18 mesi e l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000”.
L’escalation punitiva per condotte connotate da un accentuato grado di pericolosità è sicuramente apprezzabile. Ciononostante, la tecnica redazionale si espone a numerose critiche.
In primis, anziché costruire un reato contravvenzionale caratterizzato, secondo gli insegnamenti classici, da precetto e sanzione, l’art. 4, comma 6 D. L. n. 19/2020 effettua un ‘curioso’ rimando quod poenam all’art. 260, R. D. n. 1265/1934, salvo poi modificarne la cornice edittale nel comma successivo. Sarebbe stato molto più semplice e di immediata intelligibilità la creazione di una fattispecie dal seguente tenore: “Salvo che il fatto costituisca violazione dell'articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, chiunque violi il divieto assoluto di allontanamento dalla propria abitazione o dimora per le persone fisiche sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus è punito con l'arresto da 3 mesi a 18 mesi e l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000”. Magari, in sede di conversione del Decreto legge, si potrebbe pensare a tale correzione.
Inoltre, la clausola di riserva sembrerebbe confinata ad ipotesi estreme di spread-virus, ovvero quando alla consapevole violazione della quarantena segua l’evento tipico delle lesioni o dell’omicidio volontario, anche a titolo di dolo eventuale, o ancora nei casi in cui nella condotta del singolo che innesti la catena di contagio si rinvenga la peculiare nota modale prevista per i reati di epidemia dolosa e colposa (artt. 438 e 452 c.p.) data dall’inciso “mediante la diffusione di germi patogeni”, sulla cui riconducibilità al caso di specie si mantengono forti riserve.
In conclusione, è da apprezzare la volontà di riportare a sistema il non semplice rebus sanzionatorio che si stava alimentando nel susseguirsi di provvedimenti statali, regionali e comunali in materia. È inoltre da salutare con favore la scelta di ritagliare all’area penale uno spazio residuale, in un modello di semplificazione a gravità crescente.
Complessivamente, l’intervento normativo risponde ad una drammatica emergenza in atto, dove le compressioni dei diritti fondamentali della persona e il circuito sanzionatorio alimentato dalla trasgressione delle “misure di contenimento” rispondono ad esigenze altrettanto fondamentali di tutela della saluta e della vita.